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Mura di Carta

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view post Posted on 31/1/2011, 18:16
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Catania

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Autore/Autrice : Sexy Sadie
Titolo fanfic : Mura di Carta
Fandom : Death Note
Raiting : Verde
Genere : Slice of Life
Avvertimenti : Shonen-ai
Capitoli : one shot
I personaggi sono Mello e Near.
So che non è un pairing molto gettonato, ma spero che la valuterete lo stesso

SPOILER (click to view)


Mura di carta









Le vene blu e viola disegnavano strani e intricati labirinti sotto la pelle bianca e pallida delle mani di Near. Le dita sottili strinsero l'ennesima carta da gioco, l'ennesimo mattoncino del suo alto castello di carte. Il ragazzino appena undicenne aveva impilato carte su carte, una poggiata all'altra, una dopo l'altra. Se ne stava accucciato sopra quel grande tavolo della sala comune, protetto dalla sua roccaforte di carte da gioco e dal silenzio ovattato che regnava mentre tutti erano fuori a giocare.



Perciò, quando sentì il rumore inatteso di una porta che sbatteva, sollevò di poco il capo, e come una curiosa tartaruga che si sveglia dal letargo osservò la scena delineata davanti ai suoi occhi.



Una piccola figurina vestita di nero, sormontata da una vivace zazzera di capelli biondi, tempestò in sala come una furia.



«Fammi spazio!» ordinò arrampicandosi sul tavolo e scavalcando le mura di carta. Near studiò l'espressione di Mello con vago interesse.



«Che hai da guardare?» sbottò il biondo, come se per lui tutto quello rientrasse in parametri comunemente accettati come "normali" – come se ritrovarsi accanto un uragano dai capelli biondi mentre costruisci una fortezza di carte da gioco fosse normale.



«Fa attenzione a non rovinare il mio castello» si era limitato a dire Near con una scrollata di spalle, estraendo altre due carte dal mazzo.



«Mpf» sbuffò Mello, con un sorriso gelido «Non farei mai una cosa simile».



Gli occhi di Mello erano nervosi e percorrevano la sala da sopra a sotto, indugiando regolarmente sulla porta che poco prima si era chiuso alle spalle. Chiaramente si stava nascondendo da qualcuno o da qualcosa, e la scelta di rifugiarsi insieme a Near dietro le mura di carta che l'albino stesso aveva costruito era imputabile al fatto che... beh, chiunque lo stesse cercando non avrebbe mai pensato di trovarlo insieme a Near. Si trattava di Mello, dopotutto.



E la situazione pareva palesemente chiara agli occhi di Near, tranne che per un sottile particolare: Mello non si nascondeva. Piuttosto, si stampava in viso un sorrisaccio spaccone e se necessario ci andava pure pesante con le parole, affrontando chiunque con più spavalderia di quanta ne servisse – uscendo, in un modo o nell'altro, vincente.



No, Mello non era il tipo da nascondersi senza un valido motivo.



Il ragazzino biondo stava ancora scandagliando con lo sguardo la grande sala deserta, quasi stesse tastando l'aria con tutti e cinque i sensi. Poi diversi passi riecheggiarono pesanti ma lontani, prima che la porta si aprisse nuovamente rivelando dietro di sè un vecchio signore dal naso imponente. Mello si acquattò lesto lesto dietro Near, quasi aderendo contro la sua schiena – ma stando comunque attento a non toccarlo neppure con una fibra della maglietta. Se si fosse spostato solo di poco, il direttore lo avrebbe visto.



«Near?» chiamò Roger con voce titubante. L'undicenne protese il collo.



«Sì?» chiese, con le mani impegnate a sistemare un Re e un Jack in cima alla torre est della sua fragile roccaforte.



«Hai visto Mello?» fece il direttore.



«No, non l'ho visto».



Near tornò dietrò la fortezza ed estrasse altre due carte dal mazzo.



«Sei sicuro?» la voce di Roger suonava distante, da dietro le mura di carta.



«Assolutamente» la regina di picche aveva un angolo piegato. La scartò.



«Mh...»



Sentendo il vecchio indugiare sul posto, Near riemerse.



«Mi lasceresti solo, adesso?»



«Sì, certo»



«Grazie»



«Di nulla»



«E ti sarei grato se chiudessi la porta»



«Sì, sì».



Il direttore cercava di non darlo a vedere, ma a lui i ragazzini non piacevano affatto. Aveva sempre un'espressione sconsolata e pressappoco afflitta, quando doveva averci a che fare – cioè sempre. Le rughe sul suo volto diventavano più profonde e numerose giorno dopo giorno, e non era semplicemente dovuto al trascorrere del tempo o all'incedere della vecchiaia. I solchi ai lati della bocca, che si arricciavano molto di frequente in smorfie di desolazione, scendevano pericolosamente all'ingiù, e le grinze attorno agli occhi e sulla fronte erano una chiara testimonianza di quanto frustrante doveva essere, per Roger Ruvie, badare a piccole pesti dannifiche dal quoziente intellettivo spaventosamente e pericolosamente alto.



Near lanciò un'occhiata distratta al volto accigliato di Mello rintanato dietro di lui.



E così il ragazzino ben noto vestito di nero si stava nascondendo da Roger?



Nulla di strano, proprio nulla. Se non fosse stato per quel piccolo particolare.



«Da quand'è che scappi?» chiese senza grandi cerimoniali, dopo che Roger se ne fu andato. Near non era avvezzo a giri di parole. Dopotutto non ci vedeva nessuna utilità nell'allungare fino allo spasmo discorsi che finivano per diventare nient'altro che brodaglie di sbobba.



Mello gli rivolse una smorfia di sincera, spassionata insofferenza.



«Sta zitto, Near» sbottò, prima di portare le gambe al petto e poggiare il mento sulle ginocchia. Nello spostarsi in quel poco spazio che aveva a disposizione, le sue braccia sfiorarono la schiena di Near. Ci fu una fragile tensione e qualcosa di impalpabile quando entrambi si ritrassero a quel contatto indesiderato nè programmato. Poi la porta si aprì nuovamente con uno scatto, e i due ebbero un sussulto.



Una donna dall'aspetto vagamente minaccioso si era fatta strada nella sala, mentre il suo sguardo arcigno inceneriva ogni cosa presente.



Timidamente, Near tese il collo e sbirciò fuori dalle mura del castello.



Era entrata Wanda, una delle tate dell'orfanotrofio. Un donnone giunonico i cui movimenti sembravano sempre accompagnati dalla Cavalcata delle Valchirie Wagneriana; una matrona cui Roger si appellava praticamente ogni giorno per tenere testa all'orda di folli bambini geniali.



«Buongiorno, Wanda» esordì l'albino, ritto sulle ginocchia.



Gli occhi grigi e nebulosi indagarono la figura della donna. Aveva un aspetto decisamente più determinato di Roger, ma alla vista di Near lo sguardo si annebbiò di confusione.



«Ci sei solo tu qui dentro?» chiese, puntandogli contro un ditone.



La mano destra rimase nascosta dietro la schiena.



Come risposta, Near si limitò a guardarsi intorno con ovvietà.



«Non è che nascondi qualcosa, o qualcuno



Una minaccia più che una domanda.



Però, come se si fosse improvvisamente resa conto di chi fosse la persona che aveva di fronte, Wanda agitò una mano davanti a sè, quasi a voler scacciare un insetto fastidioso.



«Naaaah» vociò, rassicurandosi «Non verrebbe mai a nascondersi qui da te».



Così la donna si richiuse la porta alle spalle, scuotendo il capo, forse dandosi della stupida per aver avanzato un'ipotesi tanto ingenua.



Near tornò seduto.



«Non mi dirai perchè ti stai nascondendo, giusto?».



Le mani sottili si appropriarono dell'ennesima coppia di carte da gioco. In genere non avrebbe insistito tanto nel fare domande a Mello – anche perchè lo conosceva, e non era affatto un tipo che rispondeva volentieri ed in maniera esauriente a domande considerate invadenti. Ma di invadente in quel momento c'era ben altro. Near non si era mai trovato a condividere uno spazio così stretto con nessuno, tanto meno con Mello. Una spiegazione era forse il minimo che Near potesse esigere.



Stavolta il suo sguardo non si limitò a vagare distratto su Mello. Gli puntò gli occhi addosso, con un'insistenza che neppure era consapevole di dimostrare, e sotto quello sguardo Mello si era sentito vulnerabile. Quelle mura di carta, che lui aveva scelto come valida protezione dall'esterno, erano diventate una trappola altrettanto efficace, dentro la quale lui stesso si era cacciato. C'era noncuranza e superiorità malcelata nel modo in cui Near guardava le cose, o almeno questo era ciò che Mello percepiva in quei grandi occhi grigi.



Mello odiava essere guardato in quel modo da Near.



«Tu non farmi domande e io non ti dirò bugie» rispose inquieto, finendo per mettersi a gambe conserte, cambiando posizione per la terza volta «Se ti dà fastidio la mia presenza qui, poi potrai chiedermi quel che vuoi – ma intanto sta zitto e non fiatare».



Near battè le palpebre una volta, prima di aprire la bocca.



«Non è che mi dai fast-»



Per la terza volta, la porta della sala comune tornò ad aprirsi.



Con una calma invidiabile, Near tese nuovamente il collo per fronteggiare l'ennesimo detrattore di Mello.



«Ciao Matt, che c'è?»



«Niente».



E in un vorticare di righe rosse e nere il ragazzino dai capelli rossi sparì nello stesso arco di tempo che aveva impiegato a comparire.



«È scaltro Matt, non appena mi ha visto ha dato per scontato che non ti saresti mai venuto a nascondere qui da me».



Il viso di Matt ricomparve.



Furtivo e indagatorio.



«Con chi stavi parlando?»



«Riflettevo da solo» rispose prontamente Near «Se cerchi Mello non è qui. Sono già venuti Roger e Wanda...».



«Oh, sì, per quella faccenda della puntura... ha mangiato troppa cioccolata, non ho capito bene. Io invece lo cercavo per un'altra cosa. Vabbè, ciao».



E si dileguò ancora.



Near restò qualche momento immobile prima di chinare il capo verso Mello.



«Una puntura?» chiese, squadrandolo dall'alto in basso come se non credesse a ciò che aveva sentito.



«Quell'idiota di Matt non capisce mai un cazzo!» fece Mello con sincera frustrazione.



...



Ma in realtà Matt aveva capito eccome.



Qualcuno, probabilmente Wanda, stava in quegli stessi istanti perlustrando i corridoi del Wammy's House armata di una siringa grande quanto il muso di un pescespada enorme. Forse andare a nascondersi dietro il castello di Near non era stata una gran prova di maturità – anzi, certamente lo faceva sentire molto simile a quelle donnine arzille che nei film saltano su sedie, tavoli e altre superfici non appena i loro occhi acuti incappano nella vista di un topo o di uno scarafaggio. In quel momento il suo orgoglio stava subendo una dura prova di resistenza. Per non parlare della sua pazienza, notoriamente scarsa, che minacciava pericolosamente di scattare sotto i livelli dello zero non appena Near avesse pronunciato un'altra domanda impertinente o qualcun altro avesse aperto quella dannata porta.



Aveva cercato di convincere in tutti i modi Roger che il vomito era dovuto allo stress, che il mal di pancia era passato, che in realtà aveva mangiato solo qualche quadratino di cioccolata; ma Wanda si era intromessa facendo appello al suo colorito verdognolo e ai diversi involucri vuoti di carta stagnola che lei e le altre tate dell'orfanotrofio avevano trovato nel cestino della sua camera.



«Se l'è spazzolata tutta oggi, quella cioccolata! Margaret aveva svuotato il cestino proprio stamane!»



E dietro di lei, l'anchilosata Margaret, di un'età sconsideratamente avanzata, aveva annuito solennemente.



Così, mentre gli occhi e le orecchie di tutti erano rivolti agli scricchiolii delle giunture ossidate della vecchia Margaret, Mello ne aveva approfittato per fuggire via veloce come una scheggia. La pancia gli faceva male da morire e avvertiva la nausea anche più forte di prima – eppure doveva trovare la forza, perchè non aveva mai visto una cosa simile. Un ago tanto grosso. L'idea che quel giavellotto spacciato per siringa potesse attraversargli la carne lo aveva letteralmente terrorizzato. Se qualcuno glielo avesse detto il giorno prima, sarebbe scoppiato a ridere. Adesso invece conosceva una cosa in più di sè: aveva la fobia degli aghi.



In realtà non vedeva alcuna via d'uscita da quell'incubo nè sapeva perchè si ostinasse a stare nascosto dietro quel castello le cui mura erano fatte di carta, precarie e fragili come la sua stessa situazione. Adesso sperava solo che di punto in bianco Near non decidesse di alzarsi e andarsene, mandando all'aria il suo brillante nascondiglio.



Così, con l'ennesimo goffo cambio di posizione, Mello si puntellò sulla mano destra e sollevò il bacino, tentando di estrarre un involucro di carta stagnola dalla tasca dei jeans neri e al tempo stesso non far cadere la debole costruzione dell'altro.



Near, sotto le cui mani si ergeva la fiera muraglia di picche e fiori, sollevò le sopracciglia.



«Perchè ti ostini a trangugiare quella roba, in un degenerare autolesionistico delle due condizioni psicofisiche?»



Mello gli scoccò uno sguardo intriso d'odio.



«Non è per me» disse poi, la voce incrinata di chi sta smerciando gli ultimi brandelli del suo amor proprio. Odiando se stesso con tutto se stesso, Mello tese la piccola barretta di cioccolata verso Near.



L'albino lo guardò scettico, facendo scorrere i grandi occhi scuri sul volto di Mello e poi giù, percorrendo il suo collo, il suo braccio teso, finendo per posarsi sulla cioccolata offertagli con riluttanza.



«È per me?» chiese, indicandosi con la mano che teneva salda tra indice e pollice un asso di cuori.



«No, per il Re di Fiori là dietro» lo schernì Mello senza alcuna inflessione di divertimento nella voce.



Near doveva aspettarselo, d'altronde Mello non amava avere debiti con nessuno. Così la presa delle dita sottili si saldò sulla cioccolata, e senza dire altro che un Grazie se la mise accanto.



Restarono in silenzio per qualche minuto. Near continuò ad estrarre carte e impilarle con ammirevole concentrazione sulla sua costruzione che ormai aveva raggiunto proporzioni più che notevoli. Mello, dal canto suo, si era limitato ad osservarlo con impazienza. Desiderava scendere giù da quel tavolo e fare qualcosa, piuttosto che stare lì fermo immobile a dividere lo spazio e il tempo con uno verso cui provava tutto meno che simpatia.



«Non la mangi?» sbottò infine, rivolgendo un'occhiata dardeggiante alla schiena di Near.



Inconcepibile e sconcertante era l'idea che qualcuno si rifiutasse di mangiare della cioccolata.



«Non la voglio» ribattè l'altro con semplicità, senza girarsi.



Le labbra di Mello si arricciarono tradendo irritazione. Tutti alla Wammy's House erano d'accordo col dire che lui era un ragazzino fin troppo irrequieto e nervoso per i suoi dodici anni. Ma nessuno aveva mai fatto caso a quanto poco tatto avesse Near?



«Non si dice Non lo voglio quando qualcuno ti fa un regalo» sbottò, in una volutamente pessima imitazione della voce monocorde di Near.



«Ma me l'hai chieso tu, perchè non la mangiassi».



Finalmente si voltò, offrendogli uno di quegli sguardi che riuscivano ad essere attenti e distratti, furbi e al contempo ingenui.



«Sì, e tu avresti potuto dirmi Non mi va adesso, la mangerò quando avrò fame, oppure Mangiare davanti agli altri mi mette in imbarazzo, che nel tuo caso, essendo tu un sociopatico, sarebbe stata una scusa molto credibile».



«Ma prima ti ho detto grazie» gli fece notare Near con ovvietà «E comunque non voglio privarti di una cosa a cui tieni, se vuoi puoi riprendertela».



«No che non la voglio!» sbuffò Mello esasperato, liquidando l'offerta di Near con un vigoroso gesto delle braccia.



L'albino sollevò le spalle.



«Comunque potresti almeno assaggiarla» si lasciò sfuggire Mello infine, quando Near gli rivolse di nuovo la schiena.



Non che ci tenesse a condividere la sua cioccolata con Near, ma avrebbe almeno voluto che quella preziosa squisitezza non andasse sprecata. Lo guardò tanto intensamente che l'impressione di trafiggergli il cranio con le iridi azzurre per un attimo fu più di una semplice fantasia.



Non distolse lo sguardo neppure quando Near si girò di nuovo e Mello finì a guardarlo dritto nei grandi occhi scuri.



«Hai ragione» concesse infine Near, quasi come se gli stesse facendo un favore. Lasciò che le due carte che teneva tra le dita finissero per posarsi, con l'ultimo impeccabile gesto, proprio in cima alla fila più alta. Facendo perno sulle mani, il ragazzino si girò completamente, in modo da trovarsi faccia a faccia con Mello. La gamba destra, quella che spesso Near accostava al petto, si trovava nella posizione ormai consueta. L'altra, la sinistra, se ne stava abbandonata sopra il tavolo come se neppure appartenesse al suo corpo.



Con un morbido gesto le sue mani si appropriarono nuovamente della barretta e la scartarono. Mello osservò la cioccolata, i suoi quadratini perfetti erano invitanti come mai prima d'allora. Quasi brillavano, sotto la flebile luce proveniente dalla finestre, e il loro colore scuro spiccava nell'oceano bianco del pigiama e delle mani di Near.



Il ragazzino portò alla bocca quella delizia, con più determinazione e enfasi di quanta Mello si aspettasse. I piccoli denti bianchi e luminosi spezzarono la cioccolata sotto la loro morsa, con un sonoro tack che Mello era abituato a produrre, non a sentire. Senza neppure rendersene conto, la sua espressione aveva assunto una tenue sfumatura di angoscia e afflizione, in un rimescolarsi di sconcertante dolore per il mal di pancia e straziante invidia nei confronti di Near.



Voleva esserci lui, nei suoi panni. Di solito si sentiva così guardando la graduatoria, quel suo nome scarabocchiato accanto al due, in una spietata dichiarazione della superiorità di Near. Però, lì su quel tavolo, gli sembrava di essere finito dentro una realtà alternativa, dove i ruoli si stravolgevano: Mello correva a nascondersi, cosa che non aveva mai fatto in vita sua, e Near lo aiutava nella sua fuga! E adesso, in quell'universo parallelo delimitato da fragili mura di carta, Near stava mangiando della cioccolata che lui, Mello, gli aveva regalato, e Mello lo invidiava, sì, ma per la prima volta non era la graduatoria a fargli desiderare di trovarsi nei suoi panni.



Forse guardava Near con occhi diversi, e le sue sensazioni erano – magari – amplificate dall'astinenza che il mal di pancia gli aveva imposto. Aveva la nausea, e al tempo stesso bramava quella cioccolata con tutto se stesso. Strinse forte i pugni e serrò la mascella, mentre con lo sguardo seguiva il lento consumarsi della cioccolata sotto le sottili labbra di Near, ormai ombrate di scuro.



Ne era rimasto un ultimo pezzettino, e fu solo in quel momento che Near parve accorgersi del grave tormento di Mello.



«È buona».

Ma non mi dire.

Inaspettatamente, Near tese la mano verso il biondo - la mano che in sè recava l'ultimo quadratino di cioccolata fondente purissima.

«Solo questo non ti farà male, no?».

Mello esitò.

«Non la voglio una roba sbavata da te» mentì, nonostante l'avesse spezzata con le mani.

«Come preferisci» fece Near noncurante, e quando il cioccolato fu a breve distanza dalle sue labbra, Mello sentì cedere qualcosa. Fragile come il castello di carte che li proteggeva, la sua determinazione si sgretolò all'idea che non avrebbe più mangiato cioccolata per il resto della giornata. Così, sottrasse quell'ulitmo quadratino dalle dita di Near, e se lo infilò in bocca senza tante cerimonie.



Trovarsi quella delizia sotto i denti ebbe il consueto e piacevole sapore consolatorio, un po' autolesionistico, del cacao. Gli si sciolse sotto i denti, sulla lingua, mischiandosi con la saliva e investendogli la gola. Scese giù, fino a scaldargli il cuore con il suo pungente e caldo aroma, e mentre riapriva gli occhi sperò con una piccola parte di sè che Near non lo stesse considerando un folle.



Mello deglutì una, due volte, assaporando fino all'ultimo l'effimera consolazione di quel balsamo al cacao. Si passò la lingua sulle labbra, sotto lo sguardo vagamente sorpreso di Near.



Poi Mello decise che non gli bastava. E fu come se fosse posseduto da qualcosa di più grande di lui, quando senza chiedere nessun permesso all'albino le labbra di Mello si appropriarono di quelle di Near con tanta forza da lasciarlo senza fiato. Era un bacio? Ma non sembrava un bacio...



Catturò la nuca di Near e lo premette a sè con forza, quasi con violenza, rubando il sapore paradisiaco di cui quelle labbra erano intrise.



Durò poco.



Fu fulminante, sconcertante, incredibile, bello. La cioccolata assaggiata in quel modo era anche più buona, e forse era anche più nociva – per il mal di pancia, e non solo.



Mello interruppe quel contatto proprio come l'aveva stabilito. Senza un briciolo di delicatezza.



«Mi hai fatto male» sbuffò Near quasi infastidito. Gli occhi troppo grandi e troppo profondi per essere inanimati. Non avrebbe saputo spiegare con esattezza il vortice imbarazzante di emozioni contraddittorie che aveva provato pochi istanti prima. Sapeva, però, che la cioccolata sulle labbra di Mello aveva un sapore decisamente migliore. Sapeva che, comunque, Mello non lo aveva davvero baciato. E infine sapeva che, qualsiasi cosa Mello avesse appena fatto, era riuscito a scalfire con una crepa il solido muro di indifferenza che Near aveva costruito intorno a sè quasi senza rendersene conto.



Paradossalmente, le uniche mura ancora in piedi restavano quelle di carta, quelle più fragili – lui, invece, si era sentito vacillare miseramente allo schiudersi di quelle labbra al ciocolato.



Come se si fossero messi d'accordo, entrambi sfregarono una manica sulle labbra, quasi a disinfettarsi da quel secondo contatto non programmato.



Un sorrisaccio sprezzante brillò sulle labbra e sugli occhi di Mello.



«A me invece è piaciuto» lo schernì, sfacciato «E se ti ho fatto male, allora mi è piaciuto anche di più».



«Oh, già» stavolta fu Near a sorridere «Dimenticavo che tu mi odi».



Il viso di Mello si accartocciò, seccato, insofferente, irritato. Non gli piaceva il modo in cui Near aveva detto quel Dimenticavo. Come se Mello fosse stato soltanto una delle sue carte da gioco, uno dei pezzi del suo puzzle, uno dei suoi patetici robot – qualcosa che non ha il diritto di essere ricordato, qualcosa che facilmente scivola via tra le cose prive di importanza, dimenticate, abbandonate.



«Ti odio, si capisce» ringhiò, e stavolta il modo in cui accorciò le distanze tra il suo viso e quello di Near fu ben più minaccioso di prima. Lo afferrò per il colletto della maglietta, portandoselo tanto vicino da sentirne l'odore. O meglio, la puzza. Puzza di sconfitta e di vergogna, una puzza che gli annebbiava i pensieri, lo rendeva vulnerabile e spaventosamente fragile «E dato che te lo sei scordato con così tanta leggerezza, allora sarà meglio che ti ricordi io il perchè» sputò via quelle parole velenose con uno sguardo che dardeggiava disprezzo, mentre le iridi azzurre penetravano letteralmente negli occhi scuri di Near «Vedi, tu sei solo un pidocchio arrogante e spocchioso, e se potessi ti strapperei via quegli occhi strafottenti con cui guardi tutto e tutti. E... e...».



Non ci fu nulla di logico in quello che pensò dopo.



Quegli occhi strafottenti con cui guardi me.



Mello si era zittito. Ne aveva di veleno da sputargli addosso, eccome se ne aveva, ma quel maledetto odore non lo lasciava in pace. Non lo tollerava, non riusciva a sopportarlo.



«...e ti odio perchè...» aveva continuato, ma la sua voce non suonava più come il ringhio di un cane rabbioso, e la presa sul suo pigiama non era più tanto salda...



Ti odio perchè tu non mi odi?!



Ma che cazzo!



Non aveva alcun senso!



Era un delirio, un pensiero sballato e patetico... e no, non aveva alcun senso.



...



Ma dopotutto quello era un universo parallelo.



Una realtà alternativa.



Un angolo ritagliato fuori da tutto e da tutti.



Su quel tavolo, protetti da mura di carte, da re e regine e cavalieri in precario equilibrio gli uni sugli altri, Mello e Near ebbero il sentore che il tempo si fosse quasi fermato, che l'atmosfera si fosse addensata attorno a loro come sciroppo. Near era riuscito a studiare ogni più piccola screziatura argentata negli occhi azzurri di Mello, e Mello aveva potuto notare anche i più impercettibili difetti del viso di Near, come quella lieve cicatrice sul naso. Erano entrambi pietrificati, quasi terrorizzati all'idea che quel contatto speciale potesse interrompersi. Gli occhi azzurri sottili e vispi di Mello avevano perforato quelli grandi e scuri di Near, profondi come un pozzo, neri come il resto del mondo là fuori. Non aveva importanza cosa stesse accadendo aldilà delle loro mura di carta, perchè in quell'istante c'era qualcosa di più impellente, una realizzazione cui entrambi erano pervenuti guardandosi semplicemente negli occhi, con le labbra a pochi centimetri di distanza, scambiandosi il calore dei loro respiri impercettibili. Nell'aria avvertirono un presagio, l'avvertimento folle e assurdo che qualcosa di altrettanto sconsiderato e forse pericoloso, spaventoso e terribilmente allettante, stesse per accadere. Certe cose le riesci a sentire, specie se sei un genio dal quoziente intellettivo estremamente alto, le avverti intorno a te, ti fanno paura e ti fanno forse tremare le mani.



Non ci fu nulla di logico in quello che accadde dopo, quando Mello si avvicinò a Near e Near si avvicinò a Mello. Quando le labbra dell'uno premettero forte contro quelle dell'altro, e immobile il castello intorno a loro resisteva, come la più salda delle roccaforti medievali.



«Hai capito, Near?» riuscì a mormorare contro le sue labbra.



«Sì».



«Io ti odio, non dimenticarlo più».




Si separarono dopo istanti, minuti, o ore che fossero, e Mello pensò che era durato troppo poco. Lo pensò anche Near, ma nessuno dei due lo disse ad alta voce.



Il più grande sarebbe rimasto lì dietro.


Il più piccolo avrebbe continuato ad ergere mura di carta.



Erano mura fragili, ma avevano compiuto bene il loro dovere.

 
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